Il nostro viaggio a Medjugorje

Tutto è iniziato una sera di luglio quando padre Quintino, venuto a farci visita, ci ha proposto di unirci al gruppo di pellegrini che sarebbe partito per Medjugorje a settembre.
All’inizio siamo rimasti un po’ perplessi, perché non sapevamo se potevamo assentarci dal lavoro, ma poiché nulla è impossibile a Dio abbiamo avuto la fortuna, o meglio la grazia, di avere tre giorni liberi.
Così il 21 settembre siamo partiti da Pozzomaggiore alle cinque del mattino per raggiungere Elmas dove, insieme al gruppo di Cagliari, abbiamo preso l’aereo per Mostar.
Al nostro arrivo in aeroporto ci aspettavano le guide che ci hanno accompagnato durante tutto il pellegrinaggio e che ci sono state di grande aiuto per capire meglio cosa significa Medjugorje. Il nostro gruppo ha avuto come guida una giovanissima ragazza del posto, Maria Rosa, con una fede in Dio e nella Madonna fuori dal comune.
Già dalla prima sera abbiamo compreso cosa spinge il pellegrino ad andare in quel luogo santo: la ricerca della spiritualità. Il Santo Rosario, la Santa Messa, l’Adorazione al Santissimo sono dei momenti indimenticabili e che ti rimangono impressi nel cuore.
A Medjugorje abbiamo capito cosa è l’adorazione, la riflessione, il pentimento, il perdono; abbiamo anche sperimentato il deserto, cioè il silenzio che ti aiuta a riflettere, che ti crea un subbuglio interno, che ti fa piangere, sentire piccolo, ma che ti fa anche capire quanto sono grandi la bontà e la misericordia di Dio.
A Medjugorje si avverte davvero la presenza di Dio e della Madonna: la puoi trovare sempre, in mezzo a 20 mila persone oppure quando ti trovi da solo seduto su una roccia sulla collina delle apparizioni o sul monte della croce.
I pomeriggi erano dedicati alle testimonianze che ci venivano offerte da persone che hanno dedicato la loro vita agli altri, come una signora che continua l’opera di un francescano il quale ha costruito un orfanotrofio per i bambini vittime della guerra e della povertà; oppure come un giovane italiano, ex tossicodipendente, che dirige la comunità di recupero di suor Elvira.
Il momento più inteso del nostro pellegrinaggio è stato l’adorazione al Santissimo Sacramento il sabato, con la presenza di oltre 30 mila persone raccolte in preghiera nel silenzio più completo.
Per noi questo pellegrinaggio è stata una chiamata che la Regina della Pace ci ha voluto fare, e alla quale abbiamo risposto positivamente; per questo non finiremo mai di ringraziare e pregare la madre di nostro Signore.
Al momento della ripartenza ci siamo proposti di ritornare a Medjugorje appena possibile, e non da soli, ma con tutti quelli ai quali riusciremo a far capire che andarci è una grazia.

Giusy e Graziano


Medjugorje, la pace del cuore

Ciao a tutti, mi presento: mi chiamo Elena, sono nuorese ed ho 52 anni.
Per merito di un’amica che si chiama Mariella e della disponibilità, a reperirmi un posto sull’aereo, del Parroco di Pozzomaggiore Padre Quintino, mi è stata regalata la possibilità di un viaggio a Medjugorje dove ho vissuto l’esperienza più bella della mia vita. Io sono rimasta vedova un anno e mezzo fa; ho perso un marito, compagno e padre meraviglioso. Un’assenza che non riesco a colmare nemmeno con la presenza dei miei figli. Durante la sua malattia mi sono rivolta a tutti i santi, alla Madonna ed a Gesù, invocandone l’aiuto ma nessuno mi ha ascoltata. Il 21 di marzo (primo giorno di primavera!) il mio amore mi ha lasciata in un dolore immenso. Alla domenica vado alla Santa Messa e tengo lo sguardo verso quel Gesù in croce; sono adirata con lui. Durante la recita del Padre Nostro alle parole “sia fatta la tua volontà” io gli rispondo “no, non accetto la tua volontà! La mia rabbia è grande perché mio marito, uomo adorabile e onesto, non c’è più. Perché non hai portato via tutte quelle persone che fanno del male, anziché lui!”. Non ho risposte, solo le parole del sacerdote, durante la confessione, che mi risponde che Dio ha bisogno delle persone buone, agli altri, dà il tempo di pentirsi. Così, con questo stato d’animo, il 21 settembre, inizia la mia avventura.
Partenza da Pozzomaggiore per Cagliari poi, in aereo dopo un volo di un ora e mezzo, arrivo a Mostar (30 Km circa da Medjugorje). Un viaggio molto tranquillo (strano, io che per volare ho un po’ di paura non mi sento né preoccupata né emozionata!); una volta atterrati mi sembra di essere vicino a casa, non così lontano. Saliamo sul pullman che ci aspetta all’aeroporto ed iniziamo a salire su per la montagna. Paesaggio brullo, solo pietre e qualche sporadico albero di melograno; si va sempre più in alto, poi si scende fino al paese. Mi aspettavo un paese molto povero, di case diroccate come dopo ogni guerra, invece ci sono delle belle case, tutto è ordinato, pulito e silenzioso; le persone appaiono serene, sorridenti e tranquille. Ci portano in albergo per il pranzo ed inizio a conoscere le compagne di viaggio: tutte persone deliziose che mi accettano come se mi conoscessero da tempo. Al pomeriggio si va ad ascoltare la messa che si svolge all’aperto in un grande piazzale dietro la chiesa parrocchiale (enorme rispetto alle costruzioni circostanti); tantissima gente presente ma tanto silenzio, solo il brusio delle preghiere del rosario. Rivolgo gli occhi alla statua, bellissima, della Madonna che mi sta davanti e prego chiedendole di aiutarmi, ma non ho profonde emozioni.
Ritorniamo in albergo osservando le tante vetrine di oggetti raffiguranti, soprattutto, la Madonna. Durante la cena il sacerdote e la guida ci elencano il programma del giorno dopo: andremo a “trovare” la Madonna in montagna e ci avvertono che non sarà una semplice passeggiata. In effetti, la camminata si è rivelata insidiosa e la strada tutta cosparsa di pietre… ma io sono tranquilla. Sono andata tante volte a piedi al santuario di San Francesco di Lula e pensavo fosse molto simile: non avevo capito cosa mi aspettava! La mattina dopo il pullman ci accompagna ai piedi della collina; percorriamo una strada piastrellata, in salita, nella quale ci mostrano la casa di una veggente e, dopo pochi passi, davanti a me solo sassi: paesaggio molto diverso da quello di San Francesco di Lula. Ho voglia di fare questa esperienza da scalza e non so nemmeno io il perché. Inizio così, aiutata da un bastone, la camminata; le pietre si sentono sotto i piedi; si sale in silenzio recitando il rosario. Don Quintino è un oratore straordinario. La camminata si svolge tranquilla, si sentono solo le preghiere. I pellegrini sono tanti, di ogni nazionalità; non possiamo guardarci in viso, dobbiamo guardare solo dove mettere i piedi, perché rischiamo di farci male. Dopo un po’ ecco la statua della Madonna davanti a me. Non mi sento emozionata più di tanto, ma tranquilla. Non ho molto tempo per stare con lei, le guide ce ne danno poco perché dobbiamo scendere per andare al pullman che ci riporta in albergo. Sono un po’ delusa, pensierosa.
Scendendo i piedi fanno più male che salendo perciò, arrivata giù, mi siedo, prendo una salvietta per pulirmi i piedi e sono un po’ preoccupata perché sono diabetica e i piedi devono essere sempre curati; ho paura di avere qualche taglio invece… niente!, i miei piedi sono lisci, non sono stanca, nulla mi duole: strano per me che ho delle ernie del disco importanti e devo stare attenta agli sforzi. Ritorniamo in albergo dove, pranzando, si parla con le nuove amiche delle nostre impressioni poi, di pomeriggio, lo stesso programma del giorno prima: si va a messa e si fa l’adorazione del Santissimo: bellissimo ed emozionante. La sera Don Quintino ci avvisa che la mattina dopo si va verso la montagna dove si trova la croce bianca, camminata più irta con più difficoltà della prima. E’ vero, ma la faccio tranquillamente in preghiera fino a quando mi trovo davanti ad una enorme croce bianca… mi sciolgo in lacrime.
E’ così grande che mi sembra quella che io porto dopo la morte di mio marito; prego, ma il tempo di stare lassù è troppo poco, non sono stanca ed anche questa volta… nulla mi duole! La mattina dopo, parlando con una coppia di amici, esprimo il desiderio di ritornare dalla Madonna sul colle delle prime apparizioni; loro concordano con me: anch’essi desiderano ritornare sul Podbrdo con me. Chiedo il permesso a Don Quintino e lui mi dà il suo benestare. Partiamo, soli, noi tre, ognuno con i propri pensieri e, recitando il rosario in silenzio, saliamo per la collina. La strada, ora, mi sembra diversa, infatti, la Madonna me la ritrovo non di fronte come la prima volta, ma alle spalle. Le sensazioni che non ho avuto la volta precedente esplodono subito in un fiume di lacrime e di dolore represso da tempo; parlo con lei e, anche se c’è tanta gente, io e lei in questo momento siamo sole. Finisco il rosario, glielo metto ai piedi e questo gesto ha un profondo significato: vuol dire che inizio una nuova vita con il suo aiuto… ed ora sono più serena. Ritorno dai miei figli con uno stato d’animo più tranquillo, lo so che quello che mi aspetta non è facile, non sono con il mio adorato marito ma sono sicura che la Madonna sarà sempre con me, non sarò più sola, sono certa che mi aiuterà e… non sono più adirata! Non so se riuscirò ad andare un’altra volta a Medjugorje, ma non finirò mai di ringraziare Mariella e Don Quintino per il meraviglioso regalo che mi hanno fatto.

Elena Tupponi

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